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L’Amniocentesi: perché, chi, come, quando

Nell’ambito delle tecniche di diagnostica prenatale invasiva l’amniocentesi rappresenta quella più “famosa” ed utilizzata. In Italia sempre più donne (circa il 20%) si sottopongono a questo tipo di test, che è in grado di scoprire diverse anomalie cromosomiche ma anche altre patologie. amniocentesi

Non più basata su fattori di pericolo, ma solo sulla volontà dei genitori di conoscere lo stato di salute del figlio, l’amniocentesi può essere eseguita da tutte le donne.

Questa indagine, che consiste nell’analisi dettagliata e precisa del cariotipo fetale mediante lo studio dello stesso su di un campione di liquido amniotico, come tutte le procedure invasive esistenti in medicina, presenta delle indicazioni precise che sono fondamentalmente quattro: 

1.la determinazione del cariotipo fetale nel caso di età materna avanzata, o nel caso che un genitore sappia di essere portatore di alterazioni cromosomiche strutturali o dei cromosomi sessuali, o se la coppia ha già un figlio affetto da cromosomopatie o ancora se nella gravidanza attuale si sospetti una malformazione fetale rilevata ecograficamente o infine nel caso che test biochimici rilevino un rischio elevato per sindrome di Down o per altre patologie cromosomiche; 

2.la ricerca di agenti infettivi nel liquido amniotico nel caso di sierologia materna positiva; 

3.lo studio del DNA fetale e delle patologie genetiche che attraverso questa analisi possono essere diagnosticate (es. talassemia) 

4.la determinazione della alfa-fetoproteina o di altri metaboliti fetali. 

Come per tutte le tecniche di diagnosi prenatale invasive è importante che la paziente firmi un consenso informato prima dell’esecuzione della stessa. 

L’epoca migliore in cui andrebbe eseguito tale esame è tra la 15 settimana (+ 0 giorni) e la 16 settimana + 6 giorni in quanto questo periodo rappresenta il momento in cui la quantità di cellule fetali è proporzionalmente più elevata e quindi risulta maggiore la probabilità di successo dell’esame. Inoltre, risultano essere minori le complicanze dello stesso (difficoltà di esecuzione, rischio di aborto, di perdita di liquido amniotico, di piede torto equinovaro, di fallimento della coltura) rispetto alle amniocentesi eseguite in epoca più precoce (10-14settimana + 6 giorni). 

Dal punto di vista descrittivo la procedura prevede, dopo adeguata disinfezione cutanea, l’introduzione di un ago di calibro 20-22 gauge di lunghezza adeguata, sotto costante guida ecografica, cercando di scegliere il punto in cui non si debba attraversare la placenta, tranne nei casi in cui non sia possibile fare altrimenti, a causa della posizione della tasca di liquido amniotico migliore dove eseguire il prelievo. In questo caso diventa importante tenersi lontano dalla inserzione del cordone ombelicale e attraversare il punto di minore spessore della placenta stessa. 

Si aspira quindi 0,5-1 ml di liquido che si elimina, in quanto potrebbe contenere cellule non fetali in grado di alterare l’interpretazione dei risultati, ed infine si prelevano circa 15 ml di liquido amniotico (mai più di 20). Un appunto particolare va fatto nel caso delle gravidanze gemellari per le quali è fondamentale conoscere la corionicità/amnioticità in quanto nelle bicoriali-biamniotiche è indispensabile effettuare 2 prelievi nei due diversi sacchi. 

In tale caso, per essere maggiormente sicuri della correttezza del prelievo può essere utile introdurre una piccola quantità di indacocarmino nel primo sacco per essere certi che il secondo prelievo sia giusto in quanto non colorato. Spesso l’amniocentesi è preceduta da una profilassi preventiva con antibiotici. 

Va fatta ovviamente la iniezione di immunoglobuline anti-D in donne Rh negative. I rischi di tale metodica sono rappresentati da:

  • perdita fetale (1% dei casi) che sembra essere maggiore (fino al 7%) nel caso di poliabortività, di emorragie genitali antecedenti all’amniocentesi (fino al 6%), di presenza di sangue nel liquido amniotico o di alfa-proteina serica elevata (> 2MoM);
  • rottura delle membrane (circa 1%);
  • rarissimamente lesioni fetali, oramai trascurabili con la tecnica ecoguidata, lieve aumento del rischio di parto pretermine.

Sebbene questo esame venga oramai effettuato in regime ambulatoriale è comunque fondamentale l’esperienza dell’operatore che deve eseguire un training adeguato con opportuna supervisione. Infatti il successo del prelievo si ha nel 98% dei casi al primo tentativo e fino al 99,8% dei casi nei centri di maggiore esperienza. 

Nello 0.2% dei casi è necessario ripetere il prelievo e lo stesso si verifica nel caso di mosaicismi cellulari (0,2-0,5%). 

Ed oggi è arrivata anche la “super-amniocentesi” 

Il 4 novembre 2014 i ricercatori della SIDIP (Italian College of Fetal Maternal Medicine) hanno presentato a Roma nel corso di una conferenza stampa una importante novità che riguarda sia l'amniocentesi che la villocentesi e il cui studio è stato pubblicato sul Journal of Prenatal Medicine. Si tratta di un nuovo metodo che permette di passare dal 7 all’80% di malattie genetiche finora diagnosticabili, una vera rivoluzione nella diagnosi prenatale. Una “super amniocentesi”, così come è stata chiamata, in grado di scoprire oltre 12mila mutazioni di quasi 300 geni: dalla fibrosi cistica alle talassemie, dalle displasie scheletriche a malattie neurologiche come la sindrome di Rett, fino ad alcune forme di autismo. 

Questa nuova tecnica applica al feto il sequenziamento rapido del Dna finora utilizzato negli adulti. Primo firmatario dell’indagine, il ginecologo Claudio Giorlandino, ce la spiega utilizzando una metafora “… è come se finora fosse possibile studiare un grattacielo soltanto contando il numero dei piani, laddove i piani sono i cromosomi, mentre ora possiamo controllarne ogni singolo mattone.” NGPD, Next Generation Prenatal Diagnosis, è il nome di questa nuova metodica di diagnosi prenatale ed è oggi disponibile presso cinque centri a Roma, Milano, Bari, Catania e Umbertide (Perugia), ma solo in strutture private ed a pagamento: circa 1.500 euro (il doppio rispetto ad una normale amnciocentesi o villocentesi). 

E’ il rischio di aborto? 

Anche la percentuale del rischio di aborto è scesa dall’1% allo 0,1 %. Sempre secondo i ginecologi della SIDIP il rischio di abortività dell’1% si riferisce al passato, quando non c’era il supporto ecografico, quando gli aghi erano molto più spessi e quando l’esperienza degli operatori era esigua. Ma soprattutto il rischio scende grazie alla profilassi antibiotica. Oggi gli ultimi studi randomizzati dimostrano che le percentuali di rischio sono di gran lunga inferiori: 0,1% per l’amniocentesi e 0,2% per la villocentesi.


(Contributo a cura della Dott.ssa. F. Cenci - Specialista in Ginecologia e Ostetricia)

Fonti:

  • LINEE GUIDA SIEOG Edizione 2010 Editeam s.a.s Gruppo editoriale
  • SIDIP - Italian College of Fetal Maternal Medicine, www.ilfeto.it/site/
  • Il Sole24Ore – Rivoluzione nella diagnosi prenatale, 4 novembre 2014

 

Data di pubblicazione:  marzo 2014

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